Deicide – Overtures of Blasphemy

Tornano i Deicide, per l’ennesima volta.

E possiamo anche stare a fare i sostenuti o quelli a cui non gliene frega niente, ma non ci casca nessuno, ogni volta che Benton e soci si riaffacciano sulle scene la curiosità c’è sempre.

Peccato che a questo giro “Overtures of Blasphemy” è un buco nell’acqua: a nulla valgono la copertina sanguinolenta ed un titolo importante e ingombrante se manca l’ABC di un disco Death Metal, ovvero cattiveria e quella cosa che si chiama songwriting.

E non cominciate subito a dire “Eh ma te sei un oltranzista, per te i Deicide si saranno fermati a Legion, il tempo passa per tutti”.

Nulla di più sbagliato, chi scrive pur preferendo i primissimi Deicide è stato capace di apprezzare (e anche tanto) il dittico “The Stench of Redemption”/”Til Death do Us Part” oltre che il precedente e piacevole “In the Minds of Evil”, che era tutto fuorché imperdibile ma poteva vantare qualche bell’assalto come “Godkill”, “End The Wrath of God” o “Between the Flesh and the Void”. In mezzo c’era quella schifezza indicibile di “To Hell With God”, un disco talmente anonimo che probabilmente pure i Deicide si sono dimenticati di aver scritto.

“Overtures of Blasphemy” è brutto uguale, ma per motivi diversi.

Siamo di fronte al disco più leggero e innocuo di Benton e soci, a tratti davvero educato: un lavoro che non graffia, non colpisce e che punta moltissimo sulla melodia (sempre a livello di assoli) per raggiungere un bacino d’utenza ancora più ampio. Certo, le melodie c’erano e pure tanto anche in “The Stench of Redemption” ma per prima cosa erano di tutt’altra pasta e secondo poi il riffing era comunque presente. “In Overtures of Blasphemy” il lavoro di chitarra è il grande assente: riff lineari e prevedibili, spesso molto simili l’uno con l’altro, alternati a qualche momento più compresso, ma il tutto appare estremamente svogliato e quindi parecchio prevedibile. Sicuramente gli assoli sono di pregevole fattura, ma in brani di due minuti e mezzo se un minuto è costituito da scale che vanno su e giù rimane poca roba attaccata e quella poca roba è tutto fuorché interessante. Il nuovo innesto di Mark English (Monstrosity) al posto del defezionario Owen porta una maggiore cura in fase solista, certo, peccato che da solo non basti a reggere l’intero lavoro.

A tratti “Overtures of Blasphemy” sembra un downgrade di “The Stench of Redemption”: se il disco del 2006 aveva dalla sua l’essere una assoluta novità, il come-back di cui parliamo oggi appare poco convinto e fuori tempo massimo.

Poco altro da dire: produzione di buon livello (ma anche qui estremamente educata) e ottimo Benton dietro al microfono, ma “Overtures of Blasphemy” è il classico disco che ci si dimentica non appena smette di girare nel lettore.